martedì 28 febbraio 2017

La preghiera di chi non sa le preghiere - p. Andrea Panont

Qualche tempo fa sono andato a visitare P. Ernesto, un amico sacerdote ortodosso, da pochi giorni ricoverato all'ospedale. Era ormai fuori pericolo e poteva anche parlare, sia pure con un fil di voce.

Il nostro discorso è andato spontaneamente alle sue preoccupazioni di non riuscire a rimettersi in salute per tempo. I suoi parrocchiani sollecitavano la sua presenza, la sua preghiera sacerdotale, la celebrazione della S. Messa.

Allora ci siamo detti che la più efficace preghiera che Dio chiedeva in questo frangente, era fare bene l'ammalato e offrire il sacrificio di non poter celebrare il divino sacrificio: la S. Messa.

Del resto spesso, quando le persone, anziane e ammalate sono angustiate per non poter andare a Messa, si consolano e trovano vera soluzione al loro problema di coscienza quando si sentono dire che è, sì, importante andare a messa; ma che si fa la cosa più gradita a Dio soprattutto quando si vive la propria messa nel fare bene la volontà di Dio, momento per momento, offrendogli anche il dolore di dover rinunciare alla Messa.

Quindi si coglie quanto sia importante davanti a Dio la preghiera del cuore, anche se non espressa o significata in modi diversi.

A questo proposito, P. Ernesto mi racconta che ha passato due notti in sala di rianimazione. Nel letto accanto c'era un barbone che per tutta la notte, e per varie notti, a causa del dolore, si lamentava dicendo solo: "oh, Dio!, oh, Dio!"

"Se in un primo momento mi dava fastidio", confida p. Ernesto "poi ho capito che quella era una bella e continua preghiera alla quale anch'io per tutta la notte partecipavo offrendo, con le stesse parole, assieme alle sue, le mie sofferenze e quelle di tutto l'ospedale. Occasione d'oro per vivere quella messa che non poteva celebrare.

Poi, sempre disteso a letto, Ernesto continuava a donarmi le sue riflessioni. Mi ribadiva che spesso per pregare noi pensiamo necessario recitare formule, cantare salmi, stare in questa o quella posizione, andare in questa o in quella chiesa. Sì, è tutto importante. Ma Dio vede il cuore, come dice la maestra di orazione, Teresa d' Avila che così si esprime: “L'orazione non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare.”

Allora è chiaro che chi più ama, più prega; chi meglio ama, meglio prega.

Ernesto m'ha poi raccontato che esisteva un monastero dove da poco tempo era entrato un monaco che non sapeva le preghiere, ma sapeva pregare. Un giorno, questo giovane monaco, a letto ammalato, durante l'ora della preghiera corale, voleva pregare anche lui; ma lo faceva in un modo che al P. Abate risultava un po' strano. Senza libri o rosario in mano, steso sul suo letto di malato, il suo superiore lo sente ripetere: a, b, c, d, e, f, ecc. tutte le lettere fino alla zeta. Giunto alla fine dell'alfabeto, lo ripeteva lentamente e con tanta devozione.

Il padre Abate gli si avvicina per domandargli spiegazione d'un simile modo curioso di pregare: “Io, rispose, non so particolari formule, né qui posso leggere i salmi. Dico le lettere dell'alfabeto e le dono a Dio che è mio Padre. Sono certo che Lui conosce tutto di me e sa meglio di me come ordinare le lettere dell'alfabeto in formule di preghiera che mi ottengano le grazie che Lui conosce necessarie per me. Insomma per me la preghiera, espressa in un modo o nell'altro, è solo questione di fiducia in Dio. Do a Dio carta bianca, ripetendogli: fai tu!”

E’ un'interpretazione tanto vicina al pensiero di Teresa d'Avila che vive la sua preghiera come un colloquio intimo, continuo con Colui dal quale sappiamo di essere amati. Insomma, se ami, anche il tuo respiro diventa preghiera.


Da: p. Andrea Panont, Alle Sorgenti, Ed. Mimep Docete - Leggibile anche sul sito dell'autore: http://www.padreandreapanont.net/libretti/alle-sorgenti

(Immagine di Rianimazione: di Jacob Windham, da commons.wikimedia.org, originariamente su Flickr [CC BY 2.0])

lunedì 27 febbraio 2017

La santità - Santa Teresa di Lisieux



La santità non consiste in queste o quelle pratiche, essa consiste nella docilità del cuore che ci fa diventare piccoli e umili nelle braccia di Dio, consapevoli delle nostre debolezze e fiduciosi fino alla temerarietà nella sua bontà paterna.
Santa Teresa di Lisieux (manoscritto B, 1v°)


La Sainteté n’est pas dans telle ou telle pratique; elle consiste en une disposition du coeur qui nous rend humbles et petits entre les bras de Dieu, conscients de notre faiblesse et confiants jusqu’à l’audace en sa bonté de Père.
Ste Thérèse de Lisieux (Manuscrit B, 1v°)


Thérèse Françoise Marie Martin (Alençon, 2 gennaio 1873 – Lisieux, 30 settembre 1897) è stata una monaca, mistica e drammaturga francese, meglio nota come santa Teresa di Gesù Bambino o santa Teresa di Lisieux.
E' considerata vergine e dottore della Chiesa.
Nel Martirologio Romano è descritta così: "entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa. Concluse la sua vita il 30 settembre, all’età di venticinque anni".

giovedì 23 febbraio 2017

La dimensione politica della fede, dall'opzione per i popoli - Mons. Oscar Romero

La Chiesa non solo si è incarnata nel mondo dei poveri, dando loro una speranza, ma si è impegnata fermamente nella loro difesa. Le maggioranze povere del nostro paese sono oppresse e represse quotidianamnete dalle strutture economiche e politiche del nostro paese. Tra di noi continuano ad essere vere le terribili parole dei profeti d'Israele. Esistono tra noi quelli che vendono il giusto per denaro ed il povero per un paio di sandali; quelli che accumulano violenza e rapina nei loro palazzi; quelli che schiacciano i poveri; quelli che affrettano un regno di violenza, sdraiati su letti d'avorio; quelli che aggiungono casa a casa ed annettono campo a campo fino ad occupare tutto lo spazio e rimanere soli nel Paese. [...]
È quindi un fatto evidente che la nostra Chiesa è stata perseguitata negli ultimi tre anni. Ma la cosa più importante è osservare il motivo per cui è stata perseguitata. Non è stato perseguitato qualsiasi sacerdote od attaccata qualsiasi istituzione. È stata perseguitata ed attaccata quella parte della Chiesa che si è schierata con il popolo povero ed è uscita in sua difesa. E qui ancora una volta troviamo la chiave per comprendere la persecuzione della Chiesa: i poveri. Ancora una volta sono i poveri quelli che ci fanno comprendere che cosa è realmente accaduto. E perciò la Chiesa ha compreso la persecuzione dai poveri. La persecuzione è stata provocata dalla difesa dei poveri; non si tratta di altro se non di farsi carico del destino dei poveri.
La vera persecuzione è stata verso il popolo povero, che è oggi il corpo di Cristo nella storia. Sono essi il popolo crocifisso come Gesù, il popolo perseguitato come il Servo di Jahvè. Sono essi che completano nel loro corpo ciò che manca alla passione di Cristo. E per questo motivo, quando la Chiesa si è organizzata e riunita raccogliendo le speranze e le ansie dei poveri, si è compiuta la stessa sorte di Gesù e dei poveri: la persecuzione. [...]
Il mondo dei poveri, con caratteristiche sociali e politiche ben concrete, ci mostra dove si debba incarnare la Chiesa per evitare la falsa universalizzazione che finisce sempre nella collusione con i potenti. Il mondo dei poveri ci mostra come deve essere l'amore cristiano, che certo cerca la pace, ma smaschera il falso pacifismo, la rassegnazione e l'inattività; che certo deve essere gratuito, ma deve cercare l'efficacia storica. Il mondo dei poveri ci mostra che la sublimità dell'amore cristiano deve passare attraverso l'urgente necessità di giustizia per le maggioranze e non deve rifuggire dalla lotta onesta. Il mondo dei poveri ci mostra che la liberazione verrà non solo quando i poveri saranno meri destinatari dei benefici dei governi o della stessa Chiesa, ma quando diverranno attori e protagonisti essi stessi della propria lotta e della propria liberazione, smascherando così la radice ultima dei falsi paternalismi, anche ecclesiali. Ed il mondo reale dei poveri ci mostra anche che cosa è la speranza cristiana. La Chiesa predica nuovi cieli e nuova terra, e sa che nessuna configurazione socio-politica si può scambiare con la pienezza finale che Dio solo concede.

Dal discorso di Mons. Oscar Arnulfo Romero per la laurea honoris causa all'Università di Lovanio (2 febbraio 1980).


La Iglesia no sólo se ha encarnado en el mundo de los pobres y les da una esperanza, sino que se ha comprometido firmemente en su defensa. Las mayorías pobres de nuestro país son oprimidas y reprimidas cotidianamente por las estructuras económicas y políticas de nuestro país. Entre nosotros siguen siendo verdad las terribles palabras de los profetas de Israel. Existen entre nosotros los que venden el justo por dinero y al pobre por un par de sandalias; los que amontonan violencia y despojo en sus palacios; los que aplastan a los pobres; los que hacen que se acerque un reino de violencia, acostados en camas de marfil; los que juntan casa con casa y anexionan campo a campo hasta ocupar todo el sitio y quedarse solos en el país. [...]
Es, pues, un hecho claro que nuestra Iglesia ha sido perseguida en los tres últimos años. Pero lo más importante es observar por qué ha sido perseguida. No se ha perseguido a cualquier sacerdote ni atacado a cualquier institución. Se ha perseguido y atacado aquella parte de la Iglesia que se ha puesto del lado del pueblo pobre y ha salido en su defensa. Y de nuevo encontramos aquí la clave para comprender la persecución a la Iglesia: los pobres. De nuevo son los pobres lo que nos hacen comprender lo que realmente ha ocurrido. Y por ello la Iglesia ha entendido la persecución desde los pobres. La persecución ha sido ocasionada por la defensa de los pobres y no es otra cosa que cargar con el destino de los pobres.
La verdadera persecución se ha dirigido al pueblo pobre, que es hoy el cuerpo de Cristo en la historia. Ellos son el pueblo crucificado, como Jesús, el pueblo perseguido como el Siervo de Yahvé. Ellos son los que completan en su cuerpo lo que falta a la pasión de Cristo. Y por esa razón, cuando la Iglesia se ha organizado y unificado recogiendo las esperanzas y las angustias de los pobres, ha corrido la misma suerte de Jesús y de los pobres: la persecución. [...]
El mundo de los pobres con características sociales y políticas bien concretas, nos enseña dónde debe encarnarse la Iglesia para evitar la falsa universalización que termina siempre en connivencia con los poderosos. El mundo de los pobres nos enseña cómo ha de ser el amor cristiano, que busca ciertamente la paz, pero desenmascara el falso pacifismo, la resignación y la inactividad; que debe ser ciertamente gratuito pero debe buscar la eficacia histórica. El mundo de los pobres nos enseña que la sublimidad del amor cristiano debe pasar por la imperante necesidad de la justicia para las mayorías y no debe rehuir la lucha honrada. El mundo de los pobres nos enseña que la liberación llegará no sólo cuando los pobres sean puros destinatarios de los beneficios de gobiernos o de la misma Iglesia, sino actores y protagonistas ellos mismos de su lucha y de su liberación desenmascarando así la raíz última de falsos paternalismos aun eclesiales. Y también el mundo real de los pobres nos enseña de qué se trata en la esperanza cristiana. La Iglesia predica el nuevo cielo y la nueva tierra; sabe además que ninguna configuración socio-política se puede intercambiar con la plenitud final que Dios concede.
Del discurso de Mons. Oscar Arnulfo Romero al recibir el doctorado honoris causa por la Universidad de Lovaina (discurso del 2 de febrero de 1980).

Da: ecaminos.org
Traduzione mia.

A Hymne to God the Father - John Donne


A Hymne to God the Father

Wilt thou forgive that sinn, where I begunn,
   Which is my sinn, though it were done before?
Wilt thou forgive those sinns through which I runn
   And doe them still, though still I doe deplore?
     When thou hast done, thou hast not done,
       for I have more.

Wilt thou forgive that sinn, by which I’have wonne
   Others to sinn, & made my sinn their dore?
Wilt thou forgive that sinn which I did shunne
   A yeare or twoe, but wallowed in a score?
     When thou hast done, thou hast not done,
       for I have more.

I have a sinn of feare that when I have spunn
   My last thred, I shall perish on the shore;
Sweare by thy self that at my Death, thy Sonne
   Shall shine as it shines nowe, & heretofore;
     And having done that, thou hast done,
       I feare noe more.
                               .

                               Un inno a Dio Padre

Perdonerai quel peccato da cui ho cominciato,
   che è il mio peccato, sebbene fosse stato fatto prima?
Perdonerai quei peccati attraverso i quali son passato,
   e che ancora commetto, sebbene ancora li condanni?
     Quando avrai perdonato, tu non avrai ancora finito,
       perché ne ho di più.

Perdonerai quel peccato per cui ho indotto
   altri a peccare, e reso il mio peccato la loro porta?
Perdonerai quel peccato che ho rifuggito
   un anno o due, ma nel quale ho sguazzato per una ventina?
     Quando avrai perdonato, tu non avrai ancora finito,
       perché ne ho di più.

Ho un peccato di timore che, quando avrò filato
   il mio ultimo filo, io muoia sulla spiaggia;
giura per te stesso che alla mia morte, il tuo Figlio
    risplenderà come risplende ora, e come fino ad ora;
     e, avendo fatto ciò, tu avrai finito;
       non ho più timore.


John Donne (Londra, 1572 - Londra, 31 marzo 1631) è stato un poeta, religioso e saggista inglese, nonché avvocato e chierico della Chiesa d'Inghilterra. Scrisse sermoni e poemi di carattere religioso, traduzioni latine, epigrammi, elegie, canzoni, sonetti e satire. La sua poetica fu nuova e vibrante per quanto riguarda il linguaggio e l'invettiva delle metafore, la sua tesa sintassi e la sua eloquenza di pensiero furono sia una struggente reazione nei confronti dell'uniformità convenzionale della poetica elisabettiana sia un adattamento inglese delle tecniche barocche e manieriste europee.
Donne è commemorato come prete nel calendario della Chiesa d'Inghilterra e nel Calendario dei Santi della Chiesa Evangelica Luterana in America il 31 marzo.


Da: 
- Herbert J.C. Grierson, Metaphysical lyrics & poems of the seventeenth century, Oxford, The Clarendon press, 1921 - Bartleby.com, 1999. www.bartleby.com/105/ 
- it.Wikipedia, en.Wikipedia e nds-nl.Wikipedia

mercoledì 22 febbraio 2017

Venid a Mí - Gonzalo Mazarrasa


Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero. – (Mt 11,18-30)
Oggi propongo l’ascolto di un brano di Gonzalo Mazarrasa FSCSJ, sacerdote castigliano, nell’interpretazione che si trova nell’album “Corazón vivo” della Fraternidad de Servidores del Corazón Sacerdotal de Jesús.

Venid a Mí

Venid a Mí
todos los que estáis cansados,
venid a Mí
los que os encontráis agobiados,
que Yo os aliviaré,
que Yo os aliviaré;
si tenéis sed
bebed agua de mi costado.

Cargad con mi
yugo y aprended que soy manso
de corazón
y humilde, en la cruz clavado,
porque mi yugo es blando,
porque mi yugo es blando,
cargad con él
y encontraréis vuestro descanso.

Miradme bien,
contemplad al que atravesaron,
rotos los pies
y heridas de amor las manos,
os llevo tatuados,
os llevo tatuados.
¿Cómo podré
después de esto nunca olvidaros?

Os rescaté
muriendo en la cruz por salvaros,
resucité
y un día vendré a buscaros.
¿Por qué no me creéis?
¿Por qué no me creéis?
Decidme qué
debo hacer para conquista­ros.

Soy vuestro Rey,
y viví como uno de tantos,
vine a servir
y os lavé los pies como esclavo;
nada podrá faltaros,
nada podrá faltaros,
venid y ved,
tengo el Corazón destrozado.

Venid a Mí,
llevo tanto tiempo esperando.
Venite a Me

Venite a me
voi tutti che siete stanchi,
venite a me
voi che siete oppressi,
e io vi darò ristoro,
e io vi darò ristoro;
se avete sete
bevete acqua dal mio costato.

Prendete il mio
giogo imparate che sono mite
di cuore
e umile, inchiodato sulla croce,
perché il mio giogo è dolce,
perché il mio giogo è dolce,
prendetelo
e troverete il vostro riposo.

Guardatemi bene,
contemplate colui che hanno trafitto,
forati i piedi
e ferite di amore le mani,
vi porto tatuati,
vi porto tatuati,
come potrò
mai dimenticarvi?

Vi ho riscattati
morendo sulla croce per avervi salvati,
sono risuscitato
ed un giorno verrò a cercarvi.
Perché non mi credete?
Perché non mi credete?
Ditemi che cosa
devo fare per conquistarvi?

Sono il vostro Re
e vissi come uno di tanti,
sono venuto a servire
e vi lavai i piedi come servo;
nulla vi potrò mancare,
nulla vi potrò mancare,
venite a vedere,
ho il cuore spezzato.

Venite a Me,
è tanto tempo che vi aspetto.


 

Dal CD “Corazón vivo”. A questo link è possibile ascoltarne altri brani: ivoox.com .
Qui invece una presentazione della Fraternità: http://fraternidadservidores.es/index.php/quienes-somos.html

martedì 21 febbraio 2017

Cattedra di San Pietro Apostolo - Comunità di Bose

Il 22 febbraio gli antichi romani onoravano la memoria dei loro morti e mangiavano presso le loro tombe, attorno alla "cattedra" vuota riservata ai defunti per indicarne la presenza in mezzo ai familiari.

Già nel 354 la Depositio martyrum, il più antico calendario della chiesa di Roma, testimonia la sostituzione di tale festa pagana con la memoria della cattedra di Pietro, cioè dell'inizio del suo episcopato romano.

Più tardi furono celebrate due memorie della cattedra petrina, una il 18 gennaio, propria della Gallia e commemorante l'inizio del servizio episcopale di Pietro a Roma, e l'altra il 22 febbraio, memoria del suo ministero ad Antiochia.

Con la festa odierna, attualmente celebrata dalla sola Chiesa cattolica, si è voluto mantenere anche per Pietro, come si è fatto per Paolo, una seconda memoria che ne ricorda la specifica missione nella chiesa.

La commemorazione dell'episcopato romano dell'apostolo è così l'occasione per sottolineare da un lato il fondamento apostolico della chiesa di Roma, dall'altro il servizio di presidenza nella carità che l'antica tradizione ha riconosciuto a Pietro e ai suoi successori, siano essi tutti i vescovi, come interpreta oggi l'ortodossia, siano invece i soli vescovi di Roma, secondo l'esegesi della Scrittura prevalsa in Occidente.

Tracce di lettura:
Il fondamento di ogni primato nella Chiesa è Cristo.
Ogni primato nell'umanità riscattata, prima di tutto del vescovo nella chiesa locale, ma anche del metropolita in mezzo ai suoi vescovi, del patriarca in mezzo ai suoi metropoliti, e infine del primo vescovo, quello di Roma, nella pentarchia ai tempi della Chiesa indivisa, non è che un'immagine precaria, sempre bisognosa di essere purificata, del primato del Signore-Amore. Primato di servizio, fino alla testimonianza, se necessario, del sangue e della morte (Olivier Clément da
Roma diversamente).



Da: Comunità di Bose, "Il libro dei Testimoni - Martirologio ecumenico", Edizioni San Paolo 2002, p. / (22 febbraio).

La bellezza - Tonino Lasconi

Quanto sei bella, quanto sei graziosa, o amore, figlia di delizie! (Cantico dei Cantici 7,7)

Negli ambienti ecclesiastici non è difficile respirare diffidenza verso la bellezza e paura verso il piacere che scaturisce dalla sua contemplazione.
Nei periodi in cui la Chiesa ha ceduto alla tentazione del clericalismo, alle donne cristiane erano proibiti indumenti, ornamenti e accorgimenti che valorizzassero troppo la bellezza del corpo. E le donne belle erano guardate con molto sospetto.
Quando questo si è verificato, la vita della Chiesa è diventata sciatta, triste, moralistica, e la fede ha trovato difficile esprimersi nella preghiera di lode.
La diffidenza e la paura nei confronti della bellezza non scaturiscono dalla Bibbia, che considera la bellezza un riflesso e una traccia di Dio, autore della bellezza.
La bellezza può diventare "ricchezza che chiude la porta del regno dei cieli", e il piacere della sua contemplazione può diventare una trappola. Ma, se questo avviene, il male sta nell'intenzione del cuore, non nel dono di Dio.

Signore, dona la tua luce al mio sguardo, perché sappia vedere, apprezzare e valorizzare la bellezza delle tue opere.
Dona alla tua Chiesa la gioia della bellezza.


Da: Tonino Lasconi, "Io con te per 365+1. Momenti quotidiani per una fede giovane", Paoline Editoriale Libri 2005, p. 63 (21 febbraio).

lunedì 20 febbraio 2017

I shame at my unworthiness - John Dowland


Madrigale a 5 voci composto da John Dowland ed ispirato al salmo 29(30), qui nell'interpretazione dell'ensemble Stile Antico raccolta in "Tune thy Musicke to thy Hart".

I shame at mine unworthiness,
yet fain would be at one with Thee:
Thou art a joy in heaviness,
a succour in necessity.
Ho vergogna della mia indegnità,
eppure vorrei essere una cosa sola con te:
tu sei gioia nella tristezza,
soccorso nella necessità.

John Dowland (1563 – 20 febbraio 1626) è stato un compositore, cantante e liutista inglese, che ha operato in Francia al seguito dell'ambasciatore a Parigi a partire dal 1580, per poi lavorare molti anni alla corte del re Cristiano IV di Danimarca; ritornato a Londra, dal 1612 operò come liutista presso la corte di Giacomo I d'Inghilterra.
Molte delle composizioni di Dowland sono scritte per il suo strumento, il liuto: sono raccolte in numerosi libri di opere per liuto solo e di canzoni per liuto e voce. L'autore fu noto ed apprezzato anche per la composizione di numerosi madrigali, come quello che qui ascoltiamo.


Da: CPDL, Wikipedia.
Testo da CPDL e libretto del CD.